L’IMU è una frase d’amore

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Da WhatsApp all’Oxford Dictionary Online. Ecco la strada compiuta dagli acronimi e dalle abbreviazioni più usati nelle chat e nei servizi di messaggistica in Rete, accolti a fine agosto tra le voci del prestigioso vocabolario digitale. È il caso, per esempio, di FOMO, fear of missing out: la paura di perdere informazioni e di essere esclusi dalle proprie relazioni sui social media; BYOD, bring your own device: l’invito a utilizzare il proprio computer o smartphone; e GRATS, congratulation. Tutte forme lessicali finora presenti tra le voci di Urban Dictionary, il vocabolario online dello slang inglese usato, racconta al «New York Times» il professore di Legge Greg Lastowka, nelle corti americane per interpretare le parole oscure delle gang. L’initialism, la tendenza a creare nuovi termini mettendo in fila le iniziali delle parole, è stato, quindi, nobilitato. E se qualcuno inorridisce — come Nevile Gwynne, autore della Gwynne’s Grammar, popolare guida per l’uso corretto della lingua inglese per il quale «le persone che parlano in acronimi pensano in acronimi» — altri, invece, esultano. E spiegano il successo delle abbreviazioni. «Le poesie sono state i primi sms», dichiara, per esempio, al «Register Carol» Ann Duffy, insegnante di scrittura creativa alla Manchester Metropolitan University. Linguaggio conciso, frasi spezzate, abbreviazioni. Chi è affetto da Ras (Redundant acronym syndrome), l’abitudine a usare più di una sigla in una sola frase, allora, scrive e pensa male o no?

Il dibattito è di vecchia data: per esempio Schwa!, il dizionario dello slang e degli acronimi dell’Università della California, è stato pubblicato per la prima volta nel 1989, ma è ancora acceso. Se, infatti, i ricercatori dell’Università della Tasmania nell’indagine Text-message abbreviations and language skills in high school and university students sottolineano il legame tra il textism — il linguaggio breve degli sms — e una minore abilità nella lettura e nello spelling, c’è chi sostiene il contrario: le abbreviazioni fanno bene alla mente. Come ha spiegato alla platea di TED, prestigioso ciclo di conferenze, l’esperto di linguaggio John McWhorter: «I linguisti hanno dimostrato che quando parliamo in maniera informale usiamo pacchetti di 7-10 parole. Ecco come sono i discorsi: telegrafici. Succede così anche con i messaggi». Scrivere con una tastiera per McWhorter «è come fare un discorso con le dita. È un’espansione del proprio repertorio linguistico».

Così, se essere bilingue comporta, come è noto, un beneficio cognitivo, lo stesso accade con la capacità di essere bi-dialettali, in grado di usare sia una lingua corretta che una sporca e spezzettata. Insomma: scrivere MILF per indicare una donna adulta, madre e attraente ci renderebbe più intelligenti. E persino più liberi.

«Lo slang è l’equivalente linguistico di quello che Freud chiamava id: il sé scatenato è diventato parola», spiega, infatti, raggiunto da «la Lettura» Jonathon Green, lessicografo, studioso di culture alternative e autore delGreen’s Dictionary of Slang, il vocabolario delle «parole della strada». «Gli acronimi, quando diventano popolari, hanno la stessa funzione. Ci liberano dai diktat imposti dall’alto — continua — e hanno a che fare con il nostro lato più umano e ribelle». Per questo sono spesso osteggiati dall’accademia, perché, per dirla con le parole del rapper Nas: «I conservatori non capiscono lo slang». Lo rifiutano. Eppure SPQR è la stessa cosa di TVB (ti voglio bene). «Seguendo le discussioni online sul processo di degrado della lingua ho spesso trovato critiche alle forme brevi — racconta Francesca Chiusaroli, docente di Linguistica all’Università di Macerata e autrice, con Fabio Massimo Zanzotto, dell’osservatorio Scritture Brevi (www.scritturebrevi.it) nato all’Università di Tor Vergata nel 2011 e dedicato allo studio dell’impatto della tecnologia sul linguaggio — TVB non lo sopportano in molti, ma nessuno contesta SPQR».

Ogni parola non è altro che una sequenza di lettere, eppure è diffuso un atteggiamento emotivo nei confronti delle forme linguistiche. «L’ostilità —continua — colpisce soprattutto gli acronimi del texting. C’è una diffidenza verso il nuovo. Ma il passaggio dal latino alle lingue romanze si è caratterizzato anche per fenomeni abbreviativi, inseguendo la lingua parlata». Tutte le lingue si sono innovate anche così: attraverso spezzettamenti, unioni, crasi. E proprio il nome del più noto ciclo di conferenze internazionali sull’evoluzione della lingua è un acronimo: The Evolution of Language Conferences, a.k.a. Evolang, la cui prossima edizione è prevista ad aprile 2014 a Vienna. «Anche gli acronimi e le sigle sono neologismi», spiega Giovanni Adamo, direttore dell’Iliesi, l’istituto del Cnr per il lessico intellettuale europeo e la storia delle idee, e coordinatore con Valeria Della Valle dell’Onli, l’osservatorio neologico della lingua italiana. Chi sancisce lo status di un neologismo sono i parlanti, che possono accettare, per esempio, LOL — laughing out loud: risate senza fine — così come è, senza bisogno di spiegarlo. «Un acronimo — continua Adamo — per attecchire deve rispondere a tre criteri: essere facile da comprendere, usare, memorizzare». Deve, in sostanza, far risparmiare tempo e spazio. Ecco perché la stampa ha un ruolo da protagonista nella creazione di acronimi che possono entrare nell’uso comune. «Il giornalismo — conclude Adamo — risponde al principio dell’economia linguistica».

Così nascono i CIE, centri per l’identificazione e l’espulsione degli immigrati; il DASPO, divieto di accedere a manifestazioni sportive; ma anche la coppia presidenziale POTUS e FLOTUS, President of the United States e signora. Tutti acronimi in voga da tempo nelle redazioni — POTUS, racconta Green, ricorre dal 1895—e molto più rispettati di «ci vediamo ASAP» (as soon as possibile, il prima possibile). Il motivo? Secondo Chiusaroli «vale sempre il principio del prestigio. La validità dell’IMU (Imposta municipale unica), per esempio, è data dall’autorevolezza di chi l’ha proposta». E che, con una perfidia involontaria, ha inviato agli italiani un messaggio d’amore: «I Miss You», mi manchi, è IMU nelle chat americane.

Le abbreviazioni, però, non solo innovano una lingua. Ne sono anche l’origine. «I primi acronimi sono nati per esigenze concrete, come nelle epigrafi dell’antichità — spiega Chiusaroli —. Il fatto di dover scalpellare induceva la creazione delle abbreviazioni paleografiche». Sono nate così le prime scritture brevi. «Un segno che rappresenta un concetto — suggerisce Chiusaroli — la scrittura all’origine era così. Come le emoticon, i nuovi pittogrammi». Forse allora i giovani abituati a chattare per iniziali non sono solo «vandali che stanno facendo alla lingua quello che Gengis Khan ha fatto ai propri vicini: distruggerla », come ha scritto John Humphrys sul «Daily Mail». Il texting è, invece, evoluzione, nelle parole del linguista David Crystal: «La più recente manifestazione di creatività linguistica». Insomma: proprio come la poesia.
Twitter  @fedecolonna

Federica Colonna

 

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