Linguistica. Una “miliardata” di neologismi, la creatività al potere

Visualizza PDF – 2017-10-10-Avvenire-Martinelli

A stimolare la nascita dei neologismi – sintomo di vivacità di una lingua – sono fattori trai più diversi: la creazione di uno
strumento tecnologico che ha bisogno di un nome, per esempio, o lo svilupparsi di un concetto per cui urge una definizione. Ma i vocaboli inediti posso anche essere la manifestazione di un atto creativo o di un gioco linguistico e spesso la pigrizia – specie quando i neologismi sono presi pari pari da una lingua straniera – ci mette lo zampino. Anche neologismo è un neologismo: nato dall’aggettivo greco néos (nuovo) e dal sostantivo lógos (parola) il termine è stato usato per la prima volta nel 1726 nella sua forma francese, néologisme. Oggi come allora, le parole nuove non sono state sempre viste di buon occhio e, anzi, l’insofferenza nei loro confronti è testimoniata fin dall’età classica quando venne definito da grammatici e retori il concetto di vitiose loqui, un modo di parlare scorretto e corrotto, e i neologismi furono rifiutati come vitia che inquinavano la purezza della lingua. A ripercorrere le alterne fortune dei termini di fresco conio sono Giovanni Adamo e Valeria Della Valle che si domandano Che cos’é un neologismo?Al loro comparire spiegano gli autori – i termini nuovi incontrano sempre molta resistenza: ma Niente nasce per caso o senza regole: se un tempo i vocaboli inediti rimanevano confinati nei testi letterari, oggi sono soprattutto pubblicità e media a sdoganare termini nuovi. Non sempre, però, con esiti felici per quanto appaiano goffi e brutti l’orecchio finisce per farci l’abitudine e vengono assorbiti dalla lingua. Vero è che parole del tutto nuove, che non derivino o che siano composte da elementi lessicali preesistenti ne esistono pochine: gas è una di queste, insieme a quark. In passato – scrivono Adamo e Della Valle – era convinzione comune che i neologismi si trovassero soprattutto nei testi letterari ma lì restavano confinati riuscendo solo raramente a entrare a far parte del patrimonio linguistico comune. Oggi, i neologi più prolifici sono i pubblicitari e coloro che lavorano nei settori dell’informazione e dello spettacolo: in questo campo, la creatività di giornalisti, politici, commentatori è senza limiti ma con risultati non sempre imperdibili. Niente, però, nasce per caso e neppure senza regole. I neologismi prendono vita per derivazione, per accorciamento e per adattamento ma anche per composizione o come deacronimici. Parola difficile che definisce il risultato ottenuto trascrivendo la pronuncia delle singole lettere di un acronimo: didielle, per esempio, oppure tiggi o pierre. A livello semantico, un neologismo può essere una parola già esistente che cambia di senso attraverso figure retoriche. Prendete il canguro (una metafora) che non è solo un marsupiale ma anche una procedura parlamentare. E calimero – per antonomasia – non è solo il pulcino nero ma anche chi viene poco considerato mentre è la metonimia che consente di dire auto blu per indicare le auto ministeriali. É anche possibile – spiegano Amato e DellaValle in quello che, lungi dall’essere uno sterile elenco, è un dettagliato panorama di esempi, curiosità e spiegazioni – ridefinire un’unità lessicale mediante la specializzazione del suo significato generico in un ambito specifico: se chiedete a qualcuno una chiavetta, difficilmente otterrete la piccola chiave di un lucchetto ma vi vedrete consegnare una memoria rimovibile da collegare al computer. E se pochi riescono ad abituarsi a parlare di sindaca e avvocata c’è chi non si vergogna neppure un po’ a sdoganare termini come whatsappata o shortermismo, tra selfisti che si moltiplicano e si danno appuntamento in bisteccheria dove sperano di non spendere una miliardata e di incontrare un po’ di vippume. Mentre il banalese imperversa aumentando il grado di ringhiosità degli individui, tra taggatori e bloggatari impegnati in una chattata non resta che concedersi un’apericena e svaparci un po’ su.

©Avvenire – Riproduzione riservata