Quei neologismi così bizzarri e così effimeri

Visualizza PDF – 2017-12-13-CorTicino-Carena

In un saggio due studiosi analizzano i meccanismi evolutivi del lessico.

In un saggio sul numero di agosto di «Vita e pensiero, la rivista culturale dell’Università Cattolica di Milano, il linguista GHiovanni Gobber svolge un’analisi sulla diffusione   delle lingue dell’Unione europea e oltre, particolarmente – è ovvio – dell’inglese. Che pure sta subendo anch’esso una crisi per il suo conseguente imbarbarimento e per la reazione della altre lingue nazionali. Anche l’inglese, una sorta di esperanto usato largamente nelle comunità tecnico-professionali e nell’85 per cento delle organizzazioni internazionali, si sta appiattendo e inquinando; si parla ormai di un broken english, un inglese fatto a pezzi; il cugino americano lo assedia, vi ha infiltrato parole proprie, non genuine divenute ormai di uso comune: cop per «poliziotto», movie per «film»; e per semplificare le cose scompaiono termini e avverbi che servono alla sfumatura, o all’ironia tipicamente english delle frasi; finezze inutili per un idioma di comunicazione che vuole e deve essere netto e spiccio. Avverbi «british» come rather e fairly (abbastanza) e awfully (terribilmente) scompaiono come superflui; e l’ascensore lift è insidiato da vicino dall’americano elevator così come holiday da vacation.

D’altra parte, provate un po’ si e ci chiedeva recentemente un giornalista del «Corriere della sera», provate un po’ a dire nella vostra lingua nativa certe cose proprie dell’oggi, come «lista di controllo» anziché checklist, o «in attesa» anziché standby: siete dei provinciali, non siete aggiornati o meglio up-to-date… Anche i nuovi sogni s’incarnano in parole come suvista (possessore, ignaro probabilmente del significato preciso del suo titolo, d’uno sport utility vehicle) e qualcuno si attende presto un universale bibliocidio, lo sterminio del libro sostituito da altri strumenti più pratici.

A complicare le cose e le lingue si aggiunge la vorticosa e ininterrotta necessità di esprimere oggetti e situazioni fino all’altroieri o a ieri stesso del tutto inesistenti o sconosciute. Ed ecco la creazione senza tregua di necessari neologismi: ai quali dedicano una loro ricerca Giovanni Adamo e Valeria Della Valle in un agile e denso volume dal titolo Che cos’è un neologismo. Un neologismo, spiega-no gli autori, si costituisce principalmente per il bisogno di denominare un nuovo oggetto o un nuovo concetto, sollecitando una lingua a evolversi per adeguarsi ai mutamenti storici, culturali, sociali e alle innovazioni scientifiche e tecnologiche. Non ci resta che scorrere i capitoli di Che cos’è un neologismo per renderci conto dell’entità e dell’ineluttabilità del fenomeno, se vogliamo e dobbiamo vivere nel nostro tempo, superando quello smarrimento e quel disagio che ogni neologismo crea. Gli autori del volume dispongono in singoli capitoletti e paragrafi tutti i meccanismi e gli strumenti con cui vengono creati i neologismi: suffissi, prefissi, inserzioni, adattamenti, composizioni. Angiotac esprime in due parole secche, una greca antica e una sigla moderna, l’accertamento di eventuali disfunzioni vascolari mediante una «tomografia assiale computerizzata» (da non confondere con il tav, «trasporto ad altra velocità», a cui si oppongono i no-tav, così come i no-triv si oppongono al-le trivellazioni petrolifere). Cosa non si riesce poi a esprimere mediante neuro-o pluri– o poli– (c’è anche una plurisessualità, come ci sono degli insaziabili gastrosessuali, che al gusto per il cibo uniscono quello per il sesso). E quali brutti tipi o oggetti si esprimono con pseudo- e con vetero-, usato un tempo solo in chiesa per indicare l’Antico Testamento e ora affibbiato con sufficienza a derisi personaggi fuori gioco, un veterocomunista, un veterodemocristiano. Molto prolifici anche maxi- e mega-, mini- e multi-, tele– e toto-, una novità a metà Novecento nel Totocalcio, e ora generatore anche di un impagabile toto-poltrone. Come è frutto di una fantasia linguistica ammirevole la costruzione, col vecchio compressore a turbina, di turbofinanziere, chi si accosta e spinge a ritmi vorticosi il mercato finanziario. Fortunatamente esistono anche in questo repertorio personaggi e termini amabili nei discorsi e nella realtà, quale velina, trasferito a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso dal designare i comunicati diramati dagli organi di stampa alle eteree animatrici dei programmi televisivi. I nostri autori ci servono anche parole «macedonia» (in francese mots-valise, in tedesco Kofferwort): nuove unità lessicali formate con la miscela di parti di altre. Tale la triplettea della mastodontica cineristopizzeria = esercizio commerciale che comprende una o più sale cinematografiche e locali di intrattenimento e ristoro; mentre in ambienti di politica internazionale si parla di Chimerica non più per una cosa ammirata ma impossibile come l’antica Chimera, bensì per l’entità geografica e unione di Cina-America. L’ ultimo capitolo del volume è dedicato al fenomeno, già accennato, dei forestierismi e dei prestiti cacofonici e stridenti nei patrimoni e nei contesti linguistici ma inevitabili in società globalizzate nella pratica e nelle culture (attenti a non confondere, poiché c’è anche una globesity che è la molto diffusa comunità globale degli obesi). Comunque sia, il bello è che i neologismi odierni, per una giusta nemesi, durano anch’essi lo spazio di un mattino. Non appena formati, sono travolti da altri incalzanti, più comodi, più bizzarri, più sonanti, più nuovi e necessari. Perché anche nella creazione e nell’uso del neologismo entra quell’altro ingrediente della nostra «civiltà» contemporanea costituito dall’essere o dover essere à la page o meglio up to date, altrimenti si è perduti.

CARLOCARENA

 

GIOVANNI ADAMO, VALERIA
CHE COS’È UN NEOLOGISMO

CAROCCI pagg. 147, € 12